Arte Rieti: Leonessa a colori (Ciò che è senza nome)

Leonessa a colori (Ciò che è senza nome) 4 Expo d’arte contemporanea internazionale

All’interno del Chiostro di San Francesco “Mauro Zelli”, nella città di Leonessa, si è svolto un importante appuntamento con l’Arte, con la A minuscola.
Il titolo che è stato dato alla manifestazione è quello di “Leonessa a colori” e come ben dice la presidente della locale Pro Loco Elena Rauco “un titolo più bello non poteva essere scelto per la nostra città e l’expo di Arte contemporanea 2018 che Leonessa ospita”.
La rassegna artistica 2018 vede la direzione artistica diretta dal maestro Massimo Bigioni.
Da sottolineare che la città di Leonessa ha dato prova di possedere il coraggio di rialzarsi e di andare avanti, dopo aver subito il periodo difficile e cupo del post sisma, è oggi, anche grazie a questa mostra artistica, da modo di risvegliarsi a colori.
Appunto il colore è la parte predominante di questa mostra che nel Chiostro di San Francesco da prova, grazie a valenti artisti, di essere ancora una volta protagonista nel mondo artistico italiano.
La manifestazione ha visto oltre al patrocinio del comune di Leonessa, della Pro Loco, e ai Aion Arte, anche i vari parter che rispondono ai nomi di Circolo culturale Spazio Arte (L’Aquila), il periodico Abruzzo AZ, la Corale San Giuseppe da Leonessa, Lucozart Verdelais (Francia), Fondazione Arte senza Frontiere, Frati cappuccini di Leonessa, Associazione famiglie disabiliti Terni, del Circolo Filatelico Numismatico Rosetano e dell’Associazione Culturale Terra e Mare due sodalizi di Roseto degli Abruzzi(TE).
Lasciamo la parola per le varie descrizioni artistiche dei partecipanti all’Expo 2018 al critico d’arte Emidio Di Carlo, sempre presente con professionalità e convinto sostenitore di Leonessa “Città d’Arte”.
Qui di seguito l’intervento di Emidio di Carlo.

“Ciò che è senza nome è il principio del cielo e della terra”. Ecco una massima del Taoismo, antica religione-filosofica cinese, da cui trae spunto il filo conduttore della mostra d’arte internazionale che è proposta in Leonessa, nel chiostro di San Francesco. La rassegna del 2018 non ha, infatti, un titolo; non ne ha il bisogno, ma ha un motivo informatore. Nelle opere presentate gli artisti avvertono l’avanzare dell’incertezza, l’assalire del dubbio, la necessità di non riuscire a tradurre in una dicitura l’insieme dei valori all’origine dei loro lavori, l’uno più importante o fondamentale dell’altro. Il titolo, alla fine, svanisce nel “Senza titolo”; per riapparire, miracolosamente, in una “Leonessa a colori”. Siamo ben oltre l’occasionale pretesto. Compaiono così una molteplicità di contenuti. Il passato riaffiora nel presente con innovazioni formali e un linguaggio del colore, carico di interessi umani. La nuova avventura non tradisce il lungo cammino poeti
co nella storia dell’arte.
Dato il tributo all’Oriente, ci si proietta nell’Occidente.
Nel nuovo scenario cromatico il pensiero platonico ha fatto strada. Nel dualismo cristiano le immagini si configurano come “Corpo” e “Spirito”, “Materia” e ”Anima”.

“Cielo” e “terra” si rincorrevano, con specifiche sfaccettature, nei precedenti eventi internazionali di Leonessa, ovvero le rassegne del 2016 e del 2017, con ascendente “vitalità” cristiana e, naturalmente, sulla scia di due campioni del Cristianesimo, San Giuseppe da Leonessa e San Francesco d’Assisi.
La spiritualità, in quanto astrazione poetica, resta il movente di qualsivoglia opera d’arte. Più la trascendenza è forte più la “concretezza figurativa” ne guadagna, impregnando il linguaggio di arte poetica.

La mostra di Leonessa è ricca di una varietà iconica, figurativa e astratta; si va dal paesaggio alla esemplificazione della natura umana.
Gli artisti: Bandieri Giuliano, Barigelli Rita, Battilocchi Gabriella, Bigioni Massimo, Bomba Ada, Bracciantini Monica, Carbonetti Luigi, Carmignani Marianna, Cintio Giacomo, Croce Veronica, De Carolis Lucia, Di Nardo Fabrizio, Fainelli Roberto, Ferrucci Miriam, Gigi Giorgia, Giustini Paola, Gunnella Fabrizio, Maddalena Paola, Maiorini Piergiorgio, Maqueira Luiva, Moretti Rossana, Morini Fabrizio, Nardi Antonella, Nicolini Stefania, Owens Antonia, Owens Francesca, Petrini Aldo, Pianosi Marsilio, Piccioni Luigi, Pozzi Paolo, Rauco Angelo, Rufini Felice, Scatola Dario, Tiberio Raimondo, Tipaldi Renata, Valan (Antonio Valentini), Venturini Cinzia, Venturini Lolita, Volpi Giulio, Zelli Angelo, Zucconi Stefania.

Attraverso il disegno e, soprattutto il colore, ogni opera esplicita un anelito cristiano. Il “credo” muove l’esperienza quotidiana dell’uomo-artista che diviene così interprete e portatore di un messaggio cosmico nel presente.

“Il regno di Dio – scriveva François Mauriac a Louis Aragon – va oltre le frontiere della Chiesa visibile e io sono certo che anche voi conoscete dei santi”. La convinzione del bordolese Premio Nobel per la Letteratura nel 1952 (attribuzione che ha consacrato il carattere universale dell’opera del romanziere, poeta, saggista, drammaturgo e giornalista Mauriac) trova sintonie nelle opere proposte a Leonessa; opere nelle quali il fare e il lessico figurativo sono intrise di umanità corrente e volontà divina.

In un saggio François Mauriac (Bordeaux 1885- Parigi 1970), commentava così l’immagine fotografica della Sacra Sintone di Torino: “[…] Se accettiamo per vera questa immagine, la cui manifestazione, dopo tanti secoli, era riservata alla nostra epoca, grazie a una delle scoperte di cui si mostrò così orgogliosa, non possiamo negare che Gesù sia stato di una statura maestosa e che il suo volto regale suscitasse forse adorazione ancor più che amore. È strano che, per una misteriosa derivazione, quasi tutte le immagini del Cristo trionfante inventate dai pittori, dalle prime effigi bizantine fino ai Cristi di Giotto, del Beato Angelico, di Raffaello, di Tiziano e di Quentin Metsys, derivano da questo disegno misterioso nascosto nella Sacra Sindone e di cui nessuno dei numerosi artisti che lo riprodussero sospettava l’esistenza”.

La citazione non vuole essere fortuita, trovando la molteplicità dei riscontri nella mostra in Leonessa. Il pensiero di François Mauriac svela l’accaduto nell’imprevedibile, il vero nel mistero, la “terra”, appunto, e il “cielo”. Egli fu, infatti, maestro nell’arte del descrivere le passioni che tormentano gli esseri umani. Nelle opere, che sono state consegnate alla storia, si riflettono le tematiche umane e cristiane già segnate nella vita dai due citati Santi legati alla cittadina reatina.

Va ricordato che l’esordio dello scrittore – il Centre d’Etudes Malagar è sito nei pressi di Verdelais nel Dipartimento della Gironda (Aquitania, Francia), è avvenuto con un articolo pubblicato su “La vie fraternelle”, voce del movimento progressista cattolico “Sillon” animato da Marc Sangnier, di impronta operaia e popolare. A seguito di una conferenza di Sangnier a Langon, cittadina delle Lande, Mauriac disse: “Il évoque Jésus même au milieu de nous… On ne voit plus que son âme”.
Per questo, i contenuti, profondamente umani e al contempo del transeunte, traspaiono già dai titoli di alcune sue opere: “L’Enfant chargé de chaînes” (1913), “La Robe prétexte” (1914), “La Chair et le Sang” (1920), “La Paroisse morte” (1921) “Préséances” (1922), “Le Baiser au lépreux” (opera del 1922 stampata in 18.000 copie), “Ce qui était perdu” (1930), Trois grands hommes devant Dieu (Molière, Rousseau, Flaubert)” (1930), “Souffrances et bonheur du chrétien” (1931), “Le Jeudi Saint” (1931), “Noeud de vipères,” (1932), “biographie de Sainte Marguerite de Cortone” (1941(. “Passage du Malin” (1947), “Feu sur la terre” (1949), “L’Agneau” (1953), “Paroles catholiques” (1954), “Le Pain vivant” (1955), “Le Fils de l’homme” (1958), “Ce que je crois” (1958).

Vi emergono le denunce spietate sull’avarizia, sull’orgoglio, sull’odio, sulla sensualità, sull’avidità e su quant’altro offerto dall’esuberante dominio della borghesia di provincia. Lo scrittore accentua il giudizio critico sul grigio mondo borghese in nome dei valori religiosi. Tra queste opere occorre, di certo, evidenziare per un’opportuna lettura del Mauriac cattolico, la “Vie de Jésus” (1936), ovvero l’opera chiave che ha consentito allo scrittore, già studente nei Maristi, di uscire dal ghetto di una letteratura ordinaria, svelando la voce dello spirito inquieto e tormentato; oltre al breve testo intitolato “Ce que je crois” del 1958, l’opera in cui l’autore esprime la sua fedeltà a Cristo.

Nel 2018 Mauriac e Leonessa hanno un legame in più, poiché dalla Francia, giungono ad arricchire il nuovo evento culturale e artistico, le opere degli artisti di due associazioni: “Lucozart” e “Root’Arts”.
Si tratta di opere, già presentate nel Centre Mauriac de Malgar il 19 maggio, in occasione della “Nuit des Musées”, dagli artisti delle citate associazioni e espressamente inviate in Italia e a Leonessa con intento di approfondimento sui valori cattolici d’Oltralpe.
Merita precisare anche che a “Malagar” le opere dei francesi sono state arricchite con dei lavori giunti dall’Italia – nel quadro di un gemellaggio culturale – a firma degli artisti di “Spazio Arte” di L’Aquila e di “Aion Art” di Leonessa/Spoleto.

Le opere degli artisti francesi giungono non solo da “Malagar”, ossia dal luogo che fu proprietà di François Mauriac dal 1926 e sono il frutto di un ipotetico viaggio compiuto dalla Regione Toscana alla Regione Aquitania. Gli artisti francesi hanno, difatti, immaginato una singolare “Mille Miglia dell’Arte contemporanea”, prendendo a pretesto e portando a ‘bordo’ delle rispettive opere i “cypres” (i pini, appunto) presenti nel logo (e nel paesaggio) di Malagar; località dove campeggia proprio la Maison de Français Mauriac.

Ma veniamo ai contenuti delle opere proposte a Leonessa.
Significativo è il primo omaggio regalato da Florent Lucéa. Ci mostra una testa (umanizzata) di leonessa in un tripudio grafico-pittorico di rilevante gestualità, con un giro di rose e una sofferente natura “decorata” dal fluire delle lumache.

In una composizione, realizzata da Monique Lobera, François Mauriac affiora dal buio della notte con dei supposti illuminati testi letterari, a mo’ di carte ‘ritagliate’ matissiane. L’ispirazione tecnico-compositiva di Henri Matisse è presente anche in “Nadia”(1948) dove l’artista è attenta a una marcata linearità che essenzializza il volto. Viene, poi, incontro dalla notte il volto dello scrittore, della Ney (Emery Mirabel) con un felice acquerello che non trascura, nella parte alta i “cyprès” della natura in Malagar.

Quanto alle composizioni, nei “Ritratti” di Juanico trova sviluppo il gioco grafico formale della mail art. Il riferimento è a Keith Haring, ai suoi celeberrimi “omini” e al logo che ormai campeggia sui muri, sui tabelloni pubblicitari, e che hanno contaminato non poche opere d’arte della nuova generazione di artisti. L’esemplificazione del linguaggio grafico-compositivo si coglie anche in altra opera in cui i tre “cyprès”, con ipotetica “glorificazione letteraria“ di Daniel Bibes, viaggiano su un’ipotetica barchetta (letteraria) in giro per il mondo, simboleggiato quest’ultimo da un grande cerchio astrale. Qui avrebbe scritto Mauriac: “Ognuno di noi è un deserto: un’opera è sempre un grido nel deserto”.

Nelle opere degli artisti francesi la “merce pregiata” (i “cypres”) è presentata nel suo divenire, dalla piantagione (vedasi l’opera di Séverine Bord) al trasporto (cfr. l’opera di Céline Plessis), ai mezzi di trasporto “ndo” oltre nel suo “dio”: Chrystelle Dariet. con “Aerostato”, Charlie La Porte con “la vespa”, Sabine Peyré con “l’auto utilitaria”. In una visione più ampia: Genévieve Aimasso raccoglie le varie esperienze in Italia (a Milano; a Venezia per il Carnevale, alla Torre di Pisa); Sandrine Malaurie va anche oltre, effettuando il “giro del mondo” costellandolo di “cypres”.

Queste opere sono certamente degli d’assunti di un attivismo umano che, nella creatività operativa offerta dal bianco e nero, riconduce verso la dottrina dell’unità dei contrari, richiamata nell’incipit iniziale sulla mostra in Leonessa. Insomma si allude al principio di Eraclito e a quello di Lao Tse. Femminile, freddo, passivo, tenebroso il primo; maschile, attivo, luminoso, positivo il secondo. Di conseguenza, ciò che separa e che accomuna tale esemplificazione “dualistico-grafica” non può che essere l’espressione dinamica delle contrapposizioni.

I resoconti di viaggio da parte di Florent Lucéa sono espliciti (il percorso viario dalla Toscana alla Nuova Aquitania); sono carichi di colore, gestualità, riferimenti iconografici che fanno pretestuosamente e ipoteticamente pensare alla “Donna” (rivisitazioni della “Monna Lisa” di Leonardo o della “Venere” del Botticelli). In queste opere il “cielo” e la “terra” sono impregnati dal linguaggio informale e dal ‘colore’; fugano un ‘titolo’ specificatamente figurativo ed esaustivo.

Il grande dipinto di Gabrielle Furlan – senza dubbio memoria del paesaggio toscano – è in linea con l’obiettivo dell’appuntamento 2018 in Leonessa. Il passato e la tradizione figurativa si fondono nel paesaggio, ricco di colore, con infinitesimali grafico-formali di gestualità in chiara atmosfera mediterranea, con richiami alla Toscana e all’Aquitania di François Mauriac.

Nell’omaggio a Leonessa non poteva mancare, la “rosa”, sicché il fiore esalta ulteriormente l’evento reatino del 2018. L’omaggio a Leonessa è arricchito dall’opera di Cesare Serafino Augusto, artista-amico già presente in importanti mostre allestite da “AionArte” di Spoleto-Leonessa e “Spazio Arte” di L’Aquila. Non una, ma tre “rose” vengono consegnate nella circostanza per l’esposizione, per di più dipinte su tavola, come facevano gli antichi maestri medioevali (Duccio di Boninsegna, Cimabue, Gentile da Fabriano, Giotto, etc.); “rose”, ovviamente, espressione dell’ansia creativa dell’artista di Spilimbergo la cui sensibilità trascende l’aspetto strettamente realistico, in favore dell’impulsività formale e cromatica dinamicamente attive.

In “Leonessa a Colori” si rinnova anche l’antico gemellaggio, che coinvolse, nel passato, l’Associazione “Terra & Mare”, il “Circolo Filatelico e Numismatico” entrambi sodalizi di Roseto degli Abruzzi, e l’Association Lucozart di Verdelais (Francia).

Il preteso fu, al tempo, la “rosa”, una sorta di DNA inscindibile per la cittadina adriatica. Il ‘fiore’ e il ‘colore’ con le varianti cromatiche dal Sud al Nord in Europa e le cui peculiarità e la bellezza hanno reso famosi i luoghi in cui si coltivano, sono il “leit motiv” di una performance che oltrepassa il contingente, l’immanente, pervenendo al trascendente, insomma alla “candida rosa” del “Paradiso” dantesco.
Severine Bord, dell’Association Lucozart, si è lasciata attrarre dalla “rosa” effettuando un cammino narrativo e riflessivo costantemente imperniato sul rapporto quotidiano tra il fiore e la donna.
Se tante sono le rose, non da meno lo sono dunque i “colori” che esplicitano l’importanza delle opere d’arte presenti in Leonessa. Non a caso Marco Tullio Cicerone nel De finibus, 5,15,43 scrisse “Vis naturae quasi per caliginem cernitur” (“La forza della natura si scorge quasi attraverso una cappa di oscurità”).
Ciò perché non sempre i fenomeni naturali sono evidenti e immediatamente comprensibili.