Luigi Marini, l’uomo, l’atleta, l’imprenditore ci ha lasciato prematuramente

Luigi Marini non è più con noi.
Un pezzo della nostra Roseto degli Abruzzi se n’è andato in punta di piedi.
Conosciutissimo nell’ambiente sportivo e in quello imprenditoriale aveva avuto una miriade di contatti e amicizie, sia in Italia che all’estero, durante tutta la sua vita, nello sport e nel lavoro.
Mi permetto di parlare di Luigi in prima persona visto il vincolo di parentela che ci legava da sempre.
Sua mamma Elvira era la sorella di mio padre Mario, e da sempre c’è stato quel feeling tra sorella e fratello e io che venivo portato da papà in quella casa di via Mazzini dove abitava insieme a suo fratello “Peppe” e zio “Felluccio” insieme a Luigi era una sorta di pellegrinaggio domenicale.
Papà o per salutarla o per potare la vigna o per farsi stringere i vestiti o per una scusa qualsiasi si fermava con il suo motorino a salutare la sorella “zia Elvira”.
Di Luigi (dieci anni più grande di me) ricordo diversi passaggi della sua vita privata.
Oggi in questo pezzo, chiamiamolo, forse, di commiato, non mi dilungherò a raccontarvi la sua storia ma alcuni pezzi che mi sono rimasti in mente, quelli si voglio farvi partecipi dei miei personali ricordi di Luigi.
Forse un Luigi Marini inedito per tanti che lo hanno conosciuto solo come atleta o come imprenditore.
Ricorderò tre soli momenti, le sue tre passioni, (ne aveva tantissime), quelle che secondo me lo hanno appassioantao e divertito di più.
La prima quella per il mare, visto a 360 gradi, che Luigi amava in tutti i sensi.
La pesca con la rete a ombrello, detto in dialetto “con lo schiazzo”.
E qui entra in campo “zio Mario”, cosi chiamava affettuosamente mio padre (nella foto).
Luigi infatti aveva saputo che l’altro suo zio Franco che abitava a Montesilvano (oggi scomparso) aveva approntato un nuovo tipo di rete, e lo aveva fatto sperimentare alla foce del fiume Saline a zio Mario.
Anzi aveva preparato un doppione di quella rete e ne aveva fatto dono a suo fratello Mario.
In quesgli anni (parliamo di inizio anni ‘70) diversi rosetani e curiosi cominciarono a vedere a Roseto, in particolare alla foce del fiume Vomano, un uomo che in mezzo al mare a pochi passi dalla riva con una rete in mano la buttava davanti a se stesso, ad una decina di metri.
Fatto questo gesto e dopo che la rete era scomparsa tra le acque la ritirava tramite un cordino che eveva legato al polso e quando la tirava fuori dall’acqua come per incanto in mezzo alla rete c’era impigliato un pesce e a volte anche più di uno.
Luigi alla vista di ciò, volle provare quel nuovo tipo di pesca che aveva origini indonesiane e se ne innamorò.
Si fece preparate da zio Mario uno “schiazzo” e nei momenti liberi dal lavoro andavano insieme a pesca, e spesso quando la preda pesava più di uno o due chili era zia Elvira che cucinava con le patate come contorno agli amici di Luigi pesce arrosto e al forno che veniva apprezzato nel fresco giardino della casa di via Mazzini.
Oltre aquesto tipo di pesca, Luigi alla fine degli anni ‘70 si appassionò ad un nuovo sport.
Lui che aveva praticato insieme all’amico Sandro (nella foto) la pallacanestro a livello agonistico, questa volta aveva trovato uno sport legato al mare: il windsurf.
Una delle prime tavole a vela apparse a Roseto furono oltre a quelle di Candelori, il windsurf di Luigi.
Si riunivavo, con altri amici, poco a nord dell’’Hotel Bellavista, ma Luigi non disdegnava allontanarsi verso sud fino ad arrivare di fronte alla pineta.
Trascorreva ore in mezzo al mare e poi soddisfatto e ritemprato,tornava al suo lavoro quotidiano.
Dopo questi due passatempi legati al mare, voglio svelarvi l’altra sua passione, che forse solo alcuni suoi amici conoscono, la fotografia.
Pensate che quando personalmente a metà degli anni ‘70 fondai il CFR “Club Fotografico Rosetano”, in via Cavour, non ero a conoscenza che Luigi gia da anni era un fotoamatore.
E che fotoamatore!
Quando venni a conoscenza di questa sua passione andai subito a casa sua, insieme a papa Mario.
Luigi fu entusiasta di questa mio honny per la fotografia, ma mi rivelò che ormai per lui questa passione, che lo aveva affascitato e coinvolto per nni, stava svanendo.
Mi chiese che tipo di macchinetta adoperassi e fu contento della mia scelta di una macchina giapponese la Yashica biottica 6×6, e mi confidò che anche lui aveva scelto una giapponesse una Zenza Bronica 6×4,5.
Il mio primo pensiero di getto davanti a papà lo dissi involontariamente. “Beato a te Luigi che puoi permetterti una macchinetta così costosa. Io vado ancora a scuola”.
La mia Yashica all’epoca costava circa 100 mila lire, la sua Zenza Bronica oltre le seicento mila.
La mia poi con un accordo con l’amico fotografo “Mimì” Piccioni la pagai a 10 mila lire al mese.
Ma questa è un altra storia che fa riflettere, sulla vita di Luigi, visto che lo stipendio medio dell’epoca in cui lui acquistò la macchietta era dicira 120 mila lire al mese, fatevi i conti.
Quell’incontro terminò con un sorridente Luigi che, colpito dalla mia sincera battuta, regalò al sottoscritto un pacco da 10 rullini 6×6 marca Kodac.
Dicevo poco fa che Luigi Marini è stato un fotoamatore con i fiocchi, visto che oltre alla macchinetta si era fatto costruire sempre da zio Mario, dietro sue precise indicazioni, sopra il terrazzo di casa in via Mazzini una vera e propria camera oscura in muratura.
Al suo interno aveva installato l’ingranditore, e in uno stanzino le vaschette verticali per sviluppo delle pellicole, e di fianco all’ingranditore tre vaschette di acidi per sviluppo e fissaggio. Il tutto con lampade da viluppo professionali, con tanto di cordini dove appendere le foto per asciugarle e tappetini assorbenti per il liquido da fissaggio che scolava dalla carta fotografica.
Completava il tutto uno scaffale dove erano alloggiate le pellicole vergini, colore e bianco e nero, un vasto assortimento di carta fofografica (dalla 1 al contrasto 5) e alcuni obiettivi a la sua Zenza Bronica in una cassetti.
Quindi una passione posso chiamarla “professionale” e non solo come hobbista.
Questo era Luigi, un uomo amante delle novità, con spirito imprenditoriale e avventuriero.
Un uomo che ha vissuto la sua vita “alla grande” , nel vestire, nel mangiare e nel lavoro, e nel tempo libero.
Ci sarebbero tantissimi episodi da raccontare su Luigi, tanti da riempire un libro, ma uno recente voglio raccontarvelo.
Era una domenica di febbraio e con il mio fido cane e mia moglie eravamo andati a farci una passeggiata sulla riva del mare nella riserva del Borsacchio.
Alcune centinaio di metri a nord del Lido D’Abruzzo, da lontano, vedemmo un pescatore con un paio di canne.
Quando ci avvicinammo riconoscemmo Luigi intento a preparae l’esca e gli chiedemmo cosa facesse da solo in quel posto.
Dopo i saluti ci rispose che stava rilassandosi all’aria aperta in riva al mare, e alla domanda: cosa hai pescato?
La risposta fu “Lucià io vengo per riposarmi, poi se abboccano è tutto un di più, a me piace restare in riva al mare e tu lo sai, ricordi al fiume Vomano con zio Mario?”.
Continuammo la nostra passeggiata quasi fino a Cologna, e al nostro ritorno Luigi era ancora lì, tutto solo a rilassarci un saluto e lo lasciammo alla sua pesca.
Questo era Luigi Marini, stava bene da solo ma era anche un uomo dalla battuta facile e quando sentiva una stupidagiine da qualcuno, non rispondeva, alzava le spalle, squoteva la testa e non commentava.

Luciano Di Giulio
Vogliamo pubblicare a margine di questo ricordo personale, il commiato scritto e letto da una amico in comune con Luigi Marini, stiamo parlando del collega giornalista Lamberto Magnoni. Ricordo di averlo conosciuto alcuni anni fa a Roseto, in casa dell’amico fotografo Francesco, anzi fu lui a presentarmelo, ma all’epoca non sapevo fosse anche amico di mio cugino Luigi. Rivedere Lamberto all’interno della chiesa del Sacro Cuore, durante al funzione religiosa dei funerali di Luigi e poi alla fine chiamato da Padre Antonio Ghidoni per pronunciare (con estrema commozione e delicatezza) l’elogio funebre mi ha toccato tantissimo.
Grazie Lamberto per le tue belle parole.
Al termine della funzione insieme all’amico in comune Ezio ho chiesto se potevo pubblicare sul settimanale che dirigo il suo toccante elogio e con naturalezza e sincerità mi ha dato il suo consenso.
Qui di seguito le sue parole dette prima dell’ultima benedizione a Luigi Marini da parte del parroco

Elogio funebre

Ho fatto una promessa a Luigi quando il male aveva già fatto la sua comparsa, lasciando fin da allora poche speranze. “Devi dire quattro parole, è un impegno”. E a quell’impegno ora non posso sottrarmi.
E dunque comincerò con un pensiero che ho letto tanto tempo fa da qualche parte, e di cui non rammento neppure l’autore. Diceva presso a poco così: “Non sarebbe stato gentile né giusto se andandomene avessi detto alla mia famiglia e agli amici: arrivederci a presto. C’è però una cosa che mi preme dirvi, miei cari, ed è questa: sgranate i vostri occhi e salite in macchina, o in moto, o in bici o se non avete nessuno di questi mezzi, usate le gambe, correte, oppure semplicemente camminate, ma è importante che manteniate lo sguardo fisso all’orizzonte. E se avrete la fortuna che ho avuto io, vedrete, nell’infinito, il piccolo punto rosa della felicità….”.
Ecco, caro Luigi, in questo giorno per tutti noi tristissimo ti ho subito accreditato di una conclusione serena, del tutto consona al tuo carattere, al tuo modo di essere, alla tua fiducia nella vita, nella vita che qui ci è dato di interpretare e in quella che ci è oscura.
Con te è stata amicizia immediata. Una amicizia fatta da sempre di rispetto reciproco, di incontro tra due caratteri molto diversi, ma che in molte cose si compensavano reciprocamente. Io restio a parlare troppo; tu scanzonato e veloce di lingua, pronto alla battuta scherzosa. Ti bastava uno scambio di parole, spesso solo un’occhiata per esprimere un commento salace, mai con malizia però. Eri capace di capire al volo qualsiasi tipo di situazione, perché ti guidava la fiducia nel prossimo, anche quando non ti è stata ripagata con la stessa moneta.
E poi ai miei occhi e alle mie orecchie, ma penso anche per tutti voi, Luigi rappresentava uno degli ultimi esemplari di una Roseto che va scomparendo – e scusate il giudizio di un rosetano solo di adozione. Bello, aitante, con un passato giovanile da sportivo di livello professionistico, ha sempre conservato il gusto della battuta che coltivava nelle sue espressioni più antiche, quelle che usavano gli anziani di generazioni ormai passate. In questo era una sorta di dizionario vivente, i cui termini (quanti sono in grado di comprenderli e di usarli colloquiando oggi?) gli derivavano dalla sua capacità di assimilazione e dalla dimestichezza con personaggi che di Roseto sono stati a lungo veri e propri attori, in una dimensione capace di superare i confini locali. Con lui, chi gli è stato intimo ha vissuto una sorta di teatro, di cui Luigi e alcuni dei suoi amici più stretti sono stati protagonisti inimitabili.
Eppure non sempre la vita gli era stata benigna. Traversie e problemi che lui ha saputo affrontare a viso aperto, senza complessi, sapendo reagire con fermezza ogni qualvolta la fortuna gli si è dimostrata poco amica, ma capace di mantenere sempre, in ogni occasione, quella generosità d’animo che ha conservato fino all’ultimo.
E che dire della sua passione, del suo amore per il mare? Non è stata cosa da poco, perché per Luigi mare significava godimento della vista e pacificazione dell’animo. Da quando fortunate e impreviste circostanze della vita, delle quali Luigi ha sempre ringraziato il Cielo, gli avevano fatto dono anche di uno scafo – e fu subito Achab! – era come tornato un po’ bambino, alimentando nei suoi appassionati racconti storie di pescate, di prede grandi e piccole, di ore in armonia con la natura e con se stesso.
Una ritrovata armonia che purtroppo è durata troppo poco. E’ stata sufficiente una manciata di mesi perché un’avida malattia lo portasse via a chi gli ha voluto bene, ai familiari, agli amici, alla sua Roseto. Luigi, dopo quel colpo di fulmine a ciel sereno, ha saputo sopportarla con dignità, mai lamentandosi, consapevole della ineluttabilità di una fine segnata, addirittura spesso capace di consolare lui chi tentava di infondergli il coraggio di una speranza.
Te ne sei andato, compagno carissimo di momenti irripetibili. Come tutti coloro che ti hanno conosciuto, apprezzato, amato, in questo momento provo quello che si prova per un amico perduto. E già mi chiedo: come starà? che cosa penserà? Ma tu non badarci: aspettaci, e quando sarà il momento, unico come sempre, accoglici con una battuta delle tue.
Magari, chissà, con un “Se non lo sai, sàllo: Addèje, mammà, ècche funziona tutt…!”.

Lamberto Magnoni